In MYICC Italia

ICC Italia dedica uno spazio agli Associati con un ciclo di interviste volto a condividere esperienze e competenze. Ospite di questo nuovo appuntamento l’Avv. Edoardo Cazzato.

Nella sua pluriennale esperienza quale legale specializzato in materia antitrust, come ha visto cambiare nel tempo la consapevolezza di imprese e professionisti su questo tema?

La “cultura antitrust” ha avuto modo di attecchire e di diventare una componente imprescindibile della “cultura aziendale” a tutti i livelli del mercato, dalle realtà più grandi ai player di minori dimensioni. Raggiunto e superato il traguardo dei trent’anni dall’istituzione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), il percorso è però tutt’altro che completato: ci sono infatti ambiti nei quali questa sensibilità stenta ancora ad acquisire la centralità che deve avere. Penso ad esempio a fenomeni come il bid-rigging e più in generale al binomio concorrenza/appalti pubblici, dove, nonostante gli sforzi dell’Autorità, tanto è ancora da fare. Penso, inoltre, alla difficoltà di conciliare la compliance antitrust con le specificità di certi business a forte componente social o digital.

L’ICC Antitrust Compliance Toolkit e il recente ICC Compendium of Antitrust Damages Actions rappresentano strumenti concreti a supporto delle imprese di grandi, medie e anche piccole dimensioni, nell’adozione di un efficace e funzionale programma di compliance in materia antitrust. Quanto sono utili, nella sua esperienza di legale, strumenti simili?

Si tratta di strumenti senz’altro utili, che però devono essere messi a frutto mediante l’ausilio di professionisti con le giuste competenze e sensibilità in materia. Solo così procedendo la compliance passa dall’essere un esercizio formale, e dunque sterile, ad essere il risultato ultimo di un imponente sforzo aziendale. Risultato che, si rammenta, permette di prevenire le possibili criticità antitrust e che può altresì configurare una  circostanza attenuante in sede sanzionatoria. L’importante è che l’impresa comprenda come uno strumento di carattere generale sia utile solo se poi contestualizzato e dunque implementato in considerazione delle sue stesse contingenze. Solo così la compliance risulta essere tailor-made e dunque davvero efficace.

Quali sono ad oggi gli scenari che si delineano sul fronte dell’armonizzazione dei sistemi giuridici internazionali al fine di evitare indebite barriere al commercio transfrontaliero nonché ai flussi di investimento?

Ci sono senz’altro ambiti nei quali l’armonizzazione è maggiore, mentre altri dove ancora si è indietro. Sotto il primo profilo, si pensi agli  importanti sforzi compiuti dalla Commissione europea al fine di favorire la concorrenza e tutelare le imprese locali dalla competitività esasperata di imprese super-dominanti che vanno ben oltre lo stereotipo dell’incumbent. In tal senso opera anche la recente proposta di legge sui mercati digitali c.d. “DMA”, ad oggi fonte di grande attenzione e discussione. Siamo lontani da una soluzione certa ma la strada è tracciata, un intervento è indispensabile.

Sotto altri profili, invece, è auspicabile una valutazione dell’efficacia, o meno, dei risulti ottenuti. Il riferimento è al private enforcement, con riferimento al quale, nonostante gli innegabili sforzi compiuti a livello comunitario e nazionale, tantissimo resta da fare, essendo ancora troppo difficile, a mio avviso, la posizione processuale dell’attore danneggiato.  Difficoltà che si traducono in un forum shopping che allontana il private enforcement dai canoni di semplicità e speditezza cui dovrebbe essere ispirato.

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